MTB – Antica Monterano, Mignone e la mola di Manziana

È una grigia giornata di Febbraio quando arrivo a Manziana, parcheggio vicino all’ingresso del bosco della macchia, scarico la mia Mountain bike ed inizio a scaldarmi salendo verso la frazione di Quadroni e poi verso Canale Monterano che raggiungo rapidamente dopo un paio di km

Canale Monterano visto dai suoi vicoli

Seguo le indicazioni per l’antica città di Monterano ma, anche se conosco bene la strada, manco qualche svolta e sono costretto a tornare sui miei passi, però dopo un po’ di saliscendi ed un paio di ripide pettate, attorno al km 6 giungo all’acquedotto che in certo senso fa da porta di ingresso alla città

L’acquedotto di Monterano visto dalla parte interna della città

Per descrivere compiutamente tutto ciò che c’è da vedere all’interno delle mura servirebbe un intera guida, tante sono le meraviglie di questo posto, spesso anche set di famosi film, quale il Marchese del Grillo. Lascio solo un paio di foto per dare un’idea della bellezza del luogo che vale da solo almeno una giornata intera di escursione.

La piazza con la fontana esagonale e la chiesa
La facciata del palazzo con la fontana del leone

Il giro è appena iniziato, quindi mi lascio alle spalle e a malincuore Monterano ed imbocco il sentierino a dx che mi porta sul fondo della valle verso la solfatara. Ripido, scosceso e scivoloso, non è assolutamente il caso di provare a farlo in sella, meglio scendere, ed anche a piedi alcuni passaggi sono insidiosi. Senza contare che per rispetto dei numerosi camminatori che salgono verso la città, è buona norma scendere con la bici a mano, a prescindere dalla pericolosità del percorso.

Il sentiero che Monterano scende verso la solfatara

Già a metà sentiero inizio a sentire l’odore forte di zolfo. Dopo una decina di minuti sono sul fondo valle dove mi accoglie un paesaggio ‘infernale’: rocce nude, striate di varie tonalità di giallo e di rosso, ruscelli e pozze di acqua sulfurea da cui emergono bolle di tutti i tipi

Pozza di acqua sulfurea

Fin qui sono passato in posti bellissimi ma piuttosto frequentati, ma d’ora in avanti le cose cambieranno radicalmente: per le tre ore seguenti non incontrerò praticamente più nessuno. Un paio di km dopo la solfatara attraverso il Mignone sopra un ponte ed inizio a salire verso nord nella riserva della Bandita. Supero un paio di cancelli mentre la salita si fa più dolce ed arrivo nel punto più a nord del giro, un ampio pianoro verde regno incontrastato delle mucche.

Mucche nella riserva della Bandita

Attraverso il primo dei numerosi guadi di giornata ed inverto il senso di marcia iniziando a scendere di nuovo verso il Mignone, su una valletta più ad ovest e parallela rispetto a quella da cui sono salito. A circa metà discesa noto l’indicazione di un sito archeologico ed opto per un breve deviazione di neanche un km che mi porta sul sito di Ara del Tufo, un posto mistico, immerso in un bosco che sembra proiettarti direttamente nel passato, con varie reperti che spuntano dalle foglie e si affacciano su un torrentello che scorre silenzioso nella profonda valle sottostante.

Il bosco di Ara del Tufo, con le sue tombe etrusche

Non sono neanche a metà giro e già potrei ritenermi soddisfatto, ma non so ancora che la parte più bella deve ancora arrivare. Riprendo la discesa, che all’altezza dell’ennesimo cancello e di un capannone sulla sx diventa più ripida, divertente con un po’ di pietre, ma mai pericolosa. Alla fine della discesa, girata una curva ritrovo il fiume, che scorre placido in una radura quasi incantata. Tutto molto bello, peccato che per proseguire occorre effettuare il guado, e stavolta non c’è modo di farlo senza bagnarsi. È Febbraio e l’opzione di proseguire il giro con le scarpe bagnate non è sul tavolo, per cui via le scarpe e via i calzini, mi avventuro a piedi nudi sui sassi e nell’acqua fredda del fiume.

Il guado sul Mignone

La risalita della valle, anche se corta, è piuttosto difficoltosa: alla pendenza non trascurabile si affianca il temibile fango argilloso, quello che si attacca alle ruote e, di lì, sul telaio della bici bloccando le ruote. Due o tre volte sono costretto a fermarmi per togliere il fango, aiutandomi come posso con dei rametti, ed alla fine ritrovo una strada ben battuta che prendo a dx. Penso che per un po’ dovrei proseguire abbastanza spedito, ma dopo neanche un km noto un cartello sulla mia dx che mi indica che sono in prossimità degli stagni della Mercareccia. Un’occhiata alla mappa, sembrano interessanti, passo la bici sotto la staccionata e vado a vedere. Ne individuo subito uno sulla mia dx scendendo, sul fondo di una cava di tufo; sembra bello, ma è complicato scendere, una breve foto e sarà per un’altra volta, anche perché poi scopro che gli stagni sono in realtà due, buon motivo per tornarci.

Lo stagno ‘grande’ della Mercareccia

Dopo un po’ di avventura torno alla civiltà prendendo per qualche km la Braccianese verso Manziana, ma dura poco: all’altezza di una curva con un fontanile lascio la strada prendendo un sentiero che scende dritto nel bosco verso l’ennesimo guado della giornata, stavolta fattibile senza doversi togliere le scarpe. Risalgo dall’altra parte, percorro un paio di km su un’ampia sterrata verso Manziana e poi ripeto la stessa cosa, puntando di nuovo a dx verso un altro fondovalle dove scorre il fosso della mola.

Guado sul fosso della mola

Qui le cose si complicano un po’: prima un cancello chiuso difficile da scavalcare, soprattutto da solo, ci riesco smontando le ruote della bici, poi seguo una debole traccia che risale il fosso fino ad un guado ma per raggiungerlo devo scavalcare un filo spinato. Il guado è la cosa più facile, anche se stavolta mi bagno, perché poi devo continuare avanzare sulla traccia che risale il fosso schivando arbusti e rami caduti. Però ne vale la pena, il fosso scorre tra felci e muschio con una serie di cascatelle che sembrano messe lì da un garden designer.

Il Fosso della mola vicino alla Mola di Manziana

Sono nella zona della mola di Manziana, di fronte a me le rovine dell’edificio della mola grande ed un ponticello che porta alla mola piccola. L’ambiente è fiabesco, valeva la pena fare un po’ di fatica per arrivarci. Devo attraversare ma il ponticello mi sembra troppo stretto per passarci anche con la bici, opto per un guado ‘tradizionale’ non senza difficoltà per scendere e risalire con la bici in spalla su un terreno ripido.

Ponticello alla Mola di Manziana

Sono dall’altra parte del fosso, seguo una traccia nel boschetto ed in breve arrivo su via della mola, che in alcuni tratti conserva ancora il suo basolato originale

Via della Mola vicino alla mola grande

Mancano ormai pochi km a Manziana, seguendo via della mola arrivo rapidamente al bosco della Macchia, bellissimo anche lui ma oggi ho gli occhi pieni di tante belle cose che quasi non me ne accorgo. Me la prendo comoda per percorrere quei tre o quattro km che mi separano dalla macchina e non faccio caso neanche all’ultima salitella, tanto sono soddisfatto del giro che vorrei durasse ancora un po’.

Il bosco della Macchia di Manziana

Alla fine sono ‘solo’ 30 km per 600 mt di dislivello, che si sentono un po’ di più per via dei continui saliscendi. Però è un giro bellissimo, ci sono talmente tante cose da vedere che la giornata se ne va via tutta quasi senza accorgersene, e con quel pizzico di ‘avventura’ che non guasta mai, in posti scarsamente frequentati ad eccezione di Monterano e della solfatara. Va fatto prendendosela comoda e dedicando il giusto tempo a tutto ciò che c’è da vedere.

clicca la foto per la traccia GPX

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